Archivio per 9 aprile 2007

Governo, il rischio del gambero

(9 Apr 07)

Luca Ricolfi

Giusto un anno fa, il 9 aprile del 2006, gli italiani furono chiamati a eleggere il loro quindicesimo Parlamento. Un anno non è un periodo molto lungo, ma non è neppure così breve da vietare un primo sommario bilancio, tanto più che l’idea di un «tagliando» periodico è stata lanciata dallo stesso governo dopo il seminario di Caserta. Ma c’è soprattutto un’altra ragione che rende urgente una prima valutazione. Come ha mostrato la recente crisi di governo, la durata di questo esecutivo è del tutto aleatoria: può durare tutta la legislatura, come cadere la prossima settimana. E in quest’ultimo caso sarebbe inevitabile chiedersi: in che modo è stato usato il poco – ma non pochissimo – tempo che ha avuto a disposizione?

Naturalmente dipende dal punto di vista da cui ci mettiamo. Se ad esempio adottiamo quello dei Girotondi, che avevano passato un’intera legislatura a denunciare – non senza ragioni – il conflitto d’interessi, l’occupazione della Rai, le «leggi vergogna», l’invadenza e l’ubiquità della politica, allora il bilancio è semplicemente tragico. Su questi punti l’Italia di oggi somiglia come una goccia d’acqua a quella di Berlusconi, con un’aggravante però: oggi non c’è nessuno che ricordi a chi governa i problemi per cui milioni di persone sono scese in piazza per anni, nonostante nessuno di quei problemi sia nel frattempo stato risolto. Se fra un mese improvvisamente la legislatura finisse, ci ritroveremmo esattamente nella situazione che ieri suscitava un permanente «allarme democratico». Che cosa dobbiamo dunque pensare? In questi dodici mesi i Girotondi hanno rettificato il loro giudizio negativo sull’era Berlusconi?

O sono convinti che i problemi della giustizia, dell’informazione, della corruzione politica siano degni di una mobilitazione collettiva solo quando al governo ci sono «gli altri»? Se adottiamo il punto di vista dei produttori – ossia lavoratori e imprese – le cose non vanno molto meglio. La promessa centrale della campagna elettorale dell’Unione era stata la riduzione del cuneo fiscale a imprese e lavoratori dipendenti. Le prime non hanno ancora incassato un euro, perché le misure previste in Finanziaria non sono ancora entrate in vigore, e comunque non andranno a regime prima del 2008. Quanto ai secondi, l’aumento di 3-400 euro l’anno c’è stato, ma solo per un lavoratore su quattro.

Possiamo, naturalmente, provare ad allargare l’orizzonte e adottare – più genericamente – il punto di vista dei comuni cittadini, senza chiederci se hanno votato a destra o a sinistra, o se erano stati oppure no lusingati con promesse elettorali. Da questa prospettiva il quadro si fa più controverso. Fra le cose effettivamente fatte, il governo ne ha almeno una importante al proprio attivo: la doppia «lenzuolata» di liberalizzazioni del ministro Bersani, cui speriamo possano presto seguire i provvedimenti dello stesso genere più volte annunciati ma finora rimasti sulla carta. Quanto al resto, il giudizio dipende molto dal metro che si adotta ma soprattutto dalla disponibilità a fare i conti con i dati più pietrosi, quelli dell’andamento dell’economia e della società. Qui possiamo anche raccontarci la storiella del risanamento, del recupero di gettito evaso, della ripresa dell’economia. Ma la realtà sembra – purtroppo – essere molto diversa da come amano raccontarcela i nostri governanti. L’economia è in ripresa, ma il nostro tasso di crescita resta sensibilmente al di sotto di quello dell’Eurozona, esattamente come lo è stato negli ultimi dieci anni, con qualsiasi governo. Le esportazioni aumentano, ma la nostra quota di export continua a diminuire, anche qui come è sempre avvenuto negli ultimi dieci anni. Non è colpa di Prodi, naturalmente, ma ci si può chiedere se valesse la pena varare una Finanziaria che, per ammissione dello stesso governo, era destinata a deprimere il nostro tasso di crescita.

La risposta dell’Unione è che la stangata fiscale era necessaria per rimettere in ordine i conti pubblici devastati da Berlusconi, e che l’aumento (imprevisto) del gettito tributario nel 2006 segnala i primi risultati della lotta all’evasione fiscale. Purtroppo questa ricostruzione è incompatibile con l’evidenza empirica disponibile. Le entrate tributarie, al netto delle una tantum della Finanziaria 2006, erano cresciute in modo imprevisto già nel primo trimestre del 2006, e nel resto dell’anno – ossia dopo l’insediamento del governo Prodi – non sono cresciute a un ritmo più rapido che nel primo trimestre. Se il confronto viene fatto con il 2005, l’accelerazione post-elezioni è minima: da +7,9% a +8,6%. Se il confronto viene fatto con il 2004 (il gettito 2005 ha un profilo temporale anomalo), l’accelerazione post-elezioni è addirittura negativa, nel senso che le entrate rallentano la loro corsa dopo le elezioni (da +11,6% a +7,8%). In breve, l’extra-gettito di cui ora si dà mostra di stupirsi, era perfettamente visibile già a metà dell’anno scorso, ai tempi della due diligence e del Dpef, ed era largamente consolidato in autunno, ai tempi del dibattito sulla Finanziaria.

Come mai il governo, in tutti i documenti prodotti nel 2006, ha chiuso un occhio sull’entità dell’extragettito? Perché «accorgersi» tempestivamente che in cassa stavano entrando un sacco di quattrini avrebbe avuto tre conseguenze indesiderate: rendere meno plausibile la denigrazione del governo precedente, rendere meno giustificabile l’aumento delle tasse, rendere più difficile il finanziamento di nuove spese. Dunque è vero che i conti pubblici vanno meglio, e (forse) andranno ancora meglio l’anno prossimo, ma questo non è il risultato di una correzione dei nostri squilibri strutturali bensì di un ennesimo giro di vite fiscale che ha riportato le entrate in prossimità del loro massimo storico, toccato giusto dieci anni fa (sempre con Prodi, ma allora per una «giusta causa»: l’ingresso in Europa). Continuiamo ad avere aliquote troppo basse sulle rendite finanziarie e troppo alte sui redditi di impresa. Pochi ammortizzatori sociali e troppa previdenza. Insomma, ben poco è cambiato dai tempi del Rapporto Onofri, che i mali fondamentali del nostro welfare li aveva messi in luce tutti già dieci anni fa.

Resterebbe, dulcis in fundo, da tentare un bilancio di quasi un anno di indulto, un provvedimento varato dal Parlamento ma che il governo ha difeso a spada tratta contro le poche voci dissenzienti, fra cui quella del ministro Di Pietro. I pochi indicatori parziali disponibili, alcuni dei quali aggiornati a marzo 2007, non sono incoraggianti. I reati erano aumentati fra il 2001 e il 2005, avevano cominciato a diminuire fra il 2005 e il 2006, ma appaiono purtroppo di nuovo in aumento dalla seconda metà del 2006 (l’indulto è della fine di luglio), specie da parte di stranieri. Insomma, per quel che è dato capire al momento, l’indulto ha interrotto un processo di riduzione dei reati che era appena iniziato, proprio come la Finanziaria del 2007 è destinata a smorzare la ripresa in atto.

È Pasqua, e dovremmo essere buoni persino con i politici. A me, però, vengono in mente solo «idee che non condivido», per dirla con Altan. Ad esempio questa: visto che non hanno il coraggio di fare le riforme, perché non provano – semplicemente – a fare il meno possibile?


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