La metamorfosi di Silvio

(29 Apr 07)

Augusto Minzolini

Saranno passati anni, ma se c’è qualcuno che gli «anti-berlusconiani» di professione non riescono a comprendere e prevedere è proprio il Cavaliere. Due settimane fa l’interessamento di Berlusconi per la Telecom è stato interpretato come un riflesso «pavloviano» con il tradizionale cliché: il Cavaliere usa la politica per arrivare agli affari. In realtà quella partecipazione per salvaguardare l’italianità dell’azienda, quel chip «costoso» senza puntare al comando (una mezza parolaccia nella filosofia imprenditoriale dell’uomo di Arcore), era uno dei primi elementi della metamorfosi berlusconiana. L’operazione non è andata in porto (e forse l’interessato ne sarà anche contento), ma intanto quel «sì» annunciato durante il congresso dei Ds è servito al Cavaliere a dare di sé un’immagine diversa. Questa volta gli «affari» sono stati lo strumento per cambiare politica.

In queste settimane la «metamorfosi» è continuata consegnandoci un Berlusconi sempre più «istituzionale», meno Masaniello e, soprattutto, meno «bipolare». Addirittura, tre giorni prima della sentenza che lo ha assolto sul «caso Sme», il Cavaliere ha praticamente capovolto lo spartito a cui ci ha abituato in questi anni, la strategia usata in tanti processi. Invece di mettere le mani avanti, di mettere l’opinione pubblica sull’avviso nei confronti della giustizia a orologeria, ha dichiarato l’esatto contrario: «È finita la stagione dei magistrati politicizzati». Berlusconi che, come ha ricordato Massimo D’Alema sul palco del congresso di Firenze, coglie al volo i cambiamenti, ha capito prima degli altri che un «Cavaliere condannato» nella nuova fase che si sta aprendo non serve a nessuno: ci sarebbe stata la solita polemica al vetriolo con la magistratura, la solita crociata, ma nulla sarebbe mutato, i colpevolisti a priori sarebbero restati tali come pure gli innocentisti. Del resto un’opinione pubblica assuefatta a una guerra senza quartiere durata 13 anni ha un’idea della giustizia confusa. Tant’è che, rispondendo ai tanti che si sono complimentati con lui nel giorno dell’assoluzione, lo stesso Berlusconi ha descritto con una battuta ironica questa strana – e preoccupante – situazione piena di paradossi: «Ma io ero colpevole – ha scherzato -, sono stati bravi i miei avvocati… La verità è che questo processo non si doveva fare: è stato Prodi e non io a tentare di svendere in una notte la Sme a De Benedetti. Ma ormai è acqua passata». Appunto, ormai è acqua passata. E nessuno, a quanto pare, ha nostalgia dell’ultimo decennio. Tutti sono esausti della Seconda Repubblica, quelli che l’hanno voluta e quelli che l’hanno subita. Tutti non vedono l’ora di metterci una pietra sopra. E nella nuova fase che si apre il Berlusconi «condannato» non serve più a nessuno: non serve a chi lo vuole ancora in politica, a chi lo vuole «potabile» come interlocutore per superare un bipolarismo che avendo perso il suo campione del Male è difficile da immaginare; e non aiuta neppure chi ne vuole favorire l’uscita di scena. In fondo un Cavaliere messo alla sbarra, sul banco degli imputati, non si sognerebbe mai di mollare. Un Berlusconi «innocente» e magari con un segno tangibile della riconoscenza delle istituzioni, a settant’anni suonati potrebbe invece anche farci un pensierino. «Nel Palazzo – confida il segretario della nuova Dc, Gianfranco Rotondi – gira l’idea di fare lui e Prodi senatori a vita». Idee originali a parte, il Cavaliere sta già coniugando la sua proposta politica con la nuova fase. E, coerente con la sua logica che fonde la razionalità con la fantasia, porta tutto alle estreme conseguenze. È sempre più tentato dal proporzionale (con sbarramento) ed è sempre meno bipolarista.

Ha capito che per lui l’attuale sistema può diventare una gabbia: se non riuscirà a imporre le elezioni nei prossimi due anni è difficile – non fosse altro per motivi anagrafici – immaginarlo come il candidato anti-Veltroni. E lui, che è un uomo di potere, sa quanto è ingrato il mondo: il giorno dopo aver lasciato lo scettro a un delfino non conterebbe più niente. Così il personaggio che ha fatto del bipolarismo in questo paese un referendum sulla sua persona, vuole esplorare altre strade. Sta tentando di capire se quelli che dall’altra parte possono restare prigionieri, cioè gli emarginati dall’avvento del «veltronismo», hanno voglia di osare: in primis, D’Alema e Marini, ma non solo. La partita sulla legge elettorale è tutta qui. Come pure l’idea di fare di Forza Italia il partito più grande («incontournable», non aggirabile, è l’aggettivo che il Cavaliere ha importato dal lessico politico francese) di un sistema politico che, come nella prima Repubblica, sia governato dal centro, magari in collaborazione e in competizione con un altro grande partito moderato ma più spostato a sinistra, come il Partito democratico. Un ritorno al futuro. Insomma, lui ci sta provando. E, come al solito, l’uomo di Arcore, quando segue un’intuizione, non guarda in faccia a nessuno. Né si preoccupa dei dubbi che tormentano i suoi consiglieri quando gli chiedono se ha degli interlocutori dall’altra parte: «No – è la riposta infastidita – non ho nessuno. Ma mi sono rotto le scatole con il solito tran-tran. Con gli alleati che vogliono la federazione del centrodestra e con quelli che non la vogliono. Sono discorsi noiosi e controproducenti. Per cui ci voglio provare. E ne avrò pure il diritto, o no?». Come sull’«affare Telecom», Berlusconi ci prova. In fondo cos’ha da rimetterci? Se gli interlocutori sull’altra sponda si faranno vivi, il quadro politico italiano sarà rivoluzionato, la Seconda Repubblica sarà considerata un incidente della Storia e nascerà un sistema politico e una nuova alleanza al centro che ricorderanno i tempi che furono. Altrimenti il Cavaliere tornerà a essere uno dei campioni del bipolarismo nostrano ultima versione, grazie al fatto che Forza Italia è di gran lunga il partito più forte del centrodestra. «Sono l’unico – ripete spesso – che può permettersi due politiche». Può essere l’uomo della Terza Repubblica o del ritorno alla Prima. Corretta.

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