Ma l’uomo non è qualunque

(22 Set 07)

Giovanni De Luna
Va bene, Grillo è il fenomeno politico del momento. È comprensibile l’interesse suscitato dalle sue iniziative in una fase in cui ci sono cantieri aperti per la costruzione di nuovi partiti sia nel centrosinistra che nel centrodestra. Ma le reazioni sono confuse e contraddittorie almeno quanto i suoi proclami. All’inizio si è minimizzato, guardando al suo blog come alla rituale riproposizione di forme di antipolitica che ci sono sempre state nel passato (ci si è ricordati di Masaniello ma anche di Menenio Agrippa). Poi si è capito che evocare, ad esempio, l’Uomo Qualunque era totalmente sbagliato. Il movimento di Guglielmo Giannini nacque e morì nelle convulsioni dell’immediato dopoguerra. C’era allora quella che Carlo Levi chiamò la «paura della libertà». C’erano il disagio e lo smarrimento per la riscoperta della democrazia dopo vent’anni di bivacchi nelle aule parlamentari.

Certo la scurrilità del linguaggio irridente di Giannini («Fessuccio Parmi» invece di Ferruccio Parri, «il rutto del Nord» invece del «vento del Nord») ha qualche assonanza con il vaffanculo di Grillo. Ma tutto finisce lì. Sessant’anni fa, l’Italia qualunquista era quella del «tengo famiglia» e «mi faccio i fatti miei»; oggi, nelle viscere profonde del «popolo di Grillo», accanto all’individualismo, al familismo, al mugugno protestatario, affiorano anche altri elementi che appartengono totalmente ed esclusivamente al nostro tempo e che lo collocano più sul versante di sinistra dello schieramento politico, con una netta differenza anche nei confronti della «maggioranza silenziosa» degli Anni Settanta o delle prime adunate populiste della Lega. Quel «popolo» non è solo il sintomo di un deficit di integrazione e di partecipazione politica, o la testimonianza della crisi dei partiti, ma chiama direttamente in causa alcuni dei nodi più significativi che sia il centrodestra che il centrosinistra sono chiamati ad affrontare. Per i «militanti» di Grillo, anche per quelli più schierati a sinistra, niente più partito «come macchina per fare la storia», niente più fedeltà da testimoniare dalla «culla alla tomba». E nemmeno l’attenzione ai temi tradizionali dello sviluppo economico e della sicurezza sociale. Qui c’è una netta discontinuità che si riferisce sia alle forme di organizzazione che alle motivazioni e ai temi che innescano la mobilitazione politica. Nel groviglio di reti che si annodano nel blog si discute di ambiente, tradizioni etniche e religiose, salute, bioetica, spazio, territorio, informazione, saperi. C’è un’ansia giustizialista e forcaiola, ma anche una convinta adesione alle regole, a una legalità introiettata come etica individuale. Ci sono rivendicazioni corporative, ma anche questioni di portata universale. Un intreccio che propone un drastico cambiamento anche nei confronti delle modalità organizzative: nel sistema di relazioni costruito dal blog tutti possono intessere un’azione collettiva, intrecciare dialoghi, restando nelle proprie case. La scelta è per un modello che non è più quello della rappresentanza ma della rappresentazione, in cui il valore simbolico del gesto e della manifestazione ha sostituito il lento procedere della macchina del partito politico novecentesco. Rappresentanza e rappresentazione hanno lo stesso etimo e si sono sempre presentate strettamente avvinte nella democrazia parlamentare che ha segnato, in Occidente, i secoli della modernità politica; nella nuova dimensione postnovecentesca, è la rappresentazione a prevalere: lo sa bene Berlusconi come lo sa bene Veltroni. Come ricordava a suo tempo Hannah Arendt a proposito della classe politica americana, tutti hanno imparato che metà del fare politica consiste nella costruzione dell’immagine e l’altra metà nell’indurre le persone a credere a questa immagine. In questo senso Grillo non ha niente a che fare con l’antipolitica; la sua è una già vera politica, faccia o non faccia le liste civiche.

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