Qualche riflessione finale su Beppe Grillo e il Vaffaday

(13 Set 07)

Andrea Romano
Picchiatori a parte, vediamo nel merito

Per una volta utilizzo questo spazio non inserirvi un mio articolo già pubblicato sulla Stampa, ma per rispondere ad alcuni dei commenti che sono stati inviati al mio pezzo di lunedì 10 settembre sul V-Day e Beppe Grillo. Tra le molte centinaia di insulti che quel pezzo si è tirato dietro passando attraverso il blog di Grillo – che dicono già tutto sui loro autori e sui quali ho già scritto il 12 settembre – vi sono stati alcuni lettori che mi hanno rivolto critiche pacate e ragionevoli alle quali non voglio sottrarmi. Per comodità le ho organizzate intorno ad alcuni punti riassuntivi.

LA GENTE E’ ESASPERATA E TU NON CAPISCI – Che ognuno di noi sia in varia misura infelice, scontento, frustrato, talvolta esasperato, è una considerazione talmente ovvia da non potere che essere condivisa. Non credo che Beppe Grillo sia in grado più di altri di avvicinarsi alle ragioni dei mali del paese né tantomeno al segreto dell’infelicità umana, anzi penso al contrario che Grillo stia sfruttando ai fini della propria visibilità il malcontento di molti italiani. Malcontento che ha molte ragioni, non una sola, e che trova nella possibilità di urlare un gigantesco Vaffanculo moltiplicato per centinaia di volte un fragoroso lenitivo. Dopo il quale, tuttavia, quel malcontento rimane ben piantato lì dov’era prima. Senza che vi sia alcuna speranza di affrontarne le cause se ci si limita ad urlare Vaffanculo o tantomeno se si pensa che la soluzione sia nelle proposte di Grillo. Perché la soluzione è nella politica, nella buona politica.

NON HAI COMMENTATO NEL MERITO LE PROPOSTE DI GRILLO – Il mio articolo del 10 settembre era sulle forme e sul senso politico del V-Day e non sulla proposta di legge presentata da Grillo, che volentieri commento qui. Non la condivido affatto, la considero sbagliata in due punti e in cattiva fede nel terzo punto. 1. Grillo propone di bandire dal Parlamento i condannati dopo il primo grado di giudizio: ognuno di noi – che sia o meno parlamentare – deve poter contare su più di un grado di giudizio, è una forma minima di garanzia che ogni stato di diritto prevede nel suo ordinamento; la legge italiana prevede per alcuni tipi di reato l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e quindi l’impossibilità di essere eletti, l’abbiamo vista recentemente applicata a Cesare Previti, altri reati non la prevedono perché (giustamente, secondo me) non implicano l’impossibilità di rappresentare l’elettorato. Molti parlamentari presenti o passati sono stati condannati per reati che possono essere considerati di opinione (diffamazione a mezzo stampa, resistenza a pubblico ufficiale, etc.) mentre anche nella vita di Beppe Grillo, come è stato ricordato, è presente una condanna definitiva per l’omicidio colposo di due adulti e un bambino. Penso che sia stata una pagina molto dura e dolorosa nella vita di Grillo, spero che l’abbia superata e personalmente non credo che per questo gli dovrebbe essere impedito di essere eletto in parlamento. 2. Grillo propone un limite massimo di due mandati parlamentari. E perché mai dovrebbe essere così? L’unico sovrano del mandato parlamentare deve essere l’elettore e se un parlamentare trova il consenso necessario per farsi rieleggere ha tutto il diritto di tornare in parlamento. Credo anche nel valore democratico del professionalismo politico, credo quindi che la politica sia un mestiere serio che ha bisogno di anni e di esperienza. Tutt’altra cosa è il mancato rinnovamento dei partiti e dei gruppi dirigenti, che in Italia è un problema gigantesco. Recentemente mi sono occupato di questo tema per quanto riguarda la sinistra italiana, campo nel quale milito. Ho scritto un libro (“Compagni di scuola, Ascesa e declino dei postcomunisti”) che ricostruisce la vicenda personale e politica della leadership DS. Chi l’ha letto sa come la penso. 3. Grillo propone l’elezione diretta dei parlamentari. Non ho ben capito cosa voglia dire, ma io penso che l’attuale legge che impedisce agli elettori di scegliere tra candidati diversi sia profondamente sbagliata. Ma lo pensano anche i promotori del referendum per la modifica della legge elettorale, per la quale anch’io ho firmato, e lo pensano moltissimi altri senza bisogno di gridare in piazza Vaffanculo. Per una critica molto lucida dei tre punti grilleschi vi rimando al blog di Gianni Cuperlo o all’articolo pubblicato da Eugenio Scalfari su Repubblica del 13 settembre.

TU DIFENDI I PARTITI – Sì, lo ammetto, io difendo il partito come forma di espressione politica democratica. Non so, magari ho scarsa fantasia, ma non riesco ad immaginare una democrazia senza partiti. E mi pare anche di ricordare che senza partiti si arrivi dritti alla dittatura. Dopo di che io non difendo affatto i partiti italiani così come essi sono oggi. Ancora una volta, desolato di citarmi, ma negli ultimi anni ho scritto molte volte di questo (anche sulla Stampa) e chi avesse avuto l’occasione di leggermi sa come la penso. Ma allo stesso tempo credo profondamente nella politica, nella partecipazione democratica e nell’unico strumento (il partito) che finora garantisce ad un gruppo di uomini e donne di organizzarsi per manifestare il proprio pensiero politico e per raccogliere il consenso di altri. Chi come Grillo auspica “la distruzione di tutti i partiti” commette un grave errore, tanto più grave se a questo scopo sfrutta l’esasperazione di altri.

NON SIAMO LA COLONNA INFAME – Qualcuno ha pensato che io definissi “infame” chi ha partecipato al V-Day, mentre con “colonna infame” mi riferivo ovviamente ad un’opera di Alessandro Manzoni (“Storia della colonna infame”) nella quale si racconta una storia di intolleranza e giustizia sommaria alimentata di esasperazione come quella che ho visto fomentare da parte di Beppe Grillo. Quando l’ho sentito augurarsi la morte di Gianni De Michelis, l’ho immaginato lì a cercare di impiccare l’untore nella Milano del Seicento.

IL V-DAY NON E’ STATO ANTIPOLITICA – Qui davvero non sono d’accordo. E’ stata una spettacolare manifestazione politica all’insegna dell’antipolitica. Dove per antipolitica non si intende qualcosa di offensivo, ma l’espressione del rifiuto dei partiti e della politica parlamentare. Esiste da sempre nell’occidente democratico, esiste di più in Italia, si è rafforzata in quest’ultimo ventennio per le responsabilità dei partiti di offrire soluzioni riconoscibili e forti. Ma io la considero un fenomeno negativo, da non fomentare come fa Grillo ma da superare grazie ad una politica che sappia farsi sostenere.

LA RETE SIAMO NOI, QUINDI VAFFA. No, un momento. Io utilizzo la rete varie ore al giorno tutti i giorni, per il mio lavoro e per il mio divertimento. E’ uno strumento di cui non potrei fare a meno, ma per la ragione esattamente contraria al bisogno di dire Vaffa. La rete mi permette di conoscere, apprendere, sapere, articolare pensieri e riflessioni che altrimenti svilupperei con molta maggiore difficoltà. Chi la usa per dire Vaffa non può pretendere di essere “il popolo della rete”, perché ne è solo una parte. Con le sue idee e il suo modo di fare, criticabile e da criticare. E anche per quanto riguarda la rete e la politica, credo che sia profondamente sbagliato pensare che l’unica lettura della rete venga da Grillo. C’è chi lo fa in ben altri modi, c’è chi lo fa male, c’è chi non l’hai fatto. Mi è capitato qualche settimana fa di scrivere sulla Stampa un lungo articolo sulla politica e la rete. Anche qui, chi avesse voglia di vedere come la penso non ha che da leggerlo

SEI UN VENDUTO, oppure in altra versione SEI UN GIORNALISTA VENDUTO COME TUTTI I GIORNALISTI – Innanzitutto non sono un giornalista. Non che non mi sarebbe piaciuto farlo, ma le cose sono andate diversamente. Insegno all’università (Storia contemporanea), collaboro con una casa editrice (la Giulio Einaudi editore) e scrivo commenti sulla Stampa. Ricevo un compenso per questi articoli e non ricordo di aver mai ricevuto dalla direzione di questo giornale l’ordine di esprimere una certa opinione su un certo fatto. Le opinioni che avete letto erano le mie, per quanto lontane possono essere sembrate ad alcuni. Capisco che talvolta sia più facile immaginare che ciò che si scrive sui giornali risponda agli ordini militari di una cupola padronale-mafiosa, ma le cose non stanno così. I giornalisti sono tanti, diversi per convinzioni e per modo di lavorare. Come i politici, come ciascuno di noi.

NON SARAI MICA FIGLIO DI SERGIO ROMANO? In varie forme, qualcuno me l’ha chiesto. Una domanda bizzarra, alla quale rispondo volentieri. Leggo sempre e condivido spesso Sergio Romano, ma non sono suo figlio. Mio padre, Giuseppe, è marittimo in pensione, Mia madre, Rita, era impiegata. Il nostro è un paese familista, dove spesso si fa carriera in virtu’ della famiglia in cui si e’ nati. Nonostante questo, ho sempre e evitato di giudicare qualcuno per il nome che portava. Per il resto, se a qualcuno interessa cosa ho fatto nella vita prima di oggi, è tutto sulla rete. Saluti.

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